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PATTI – Lancio di palloncini per ricordare Michael. Adesso è il tempo di urlare che la vita va custodita.

PATTI – Lancio di palloncini per ricordare Michael. Adesso è il tempo di urlare che la vita va custodita.
Maggio 25
18:30 2019

Stamattina gli studenti dell’IIS “Borghese Faranda”, prima della fine delle lezioni, hanno voluto ricordare Michael, il sedicenne che si è tolto la vita lunedì scorso e che frequentava la sede Ipaa dello stesso istituto, con un lancio di palloncini. Un gesto semplice, simbolico, che speriamo serva anche da impegno per evitare in futuro simili tragedie.

E’ stata una settimana “dura” per la comunità pattese; non si è parlato d’altro, si è cercato di dare una motivazione ad un gesto così “forte”, non sono, purtroppo, mancati coloro che, come spesso succede in circostanze simili, si sono erti a psicologi, giudici, insegnanti, registi di film horror o di fantascienza, perfino anatomopatologi.

Scriverò una cosa che può sembrare irrispettosa verso Michael: la sua morte è “servita” a svegliare una comunità, quale quella pattese, da troppo tempo ripiegata mestamente su se stessa, incapace di prendere posizione, rannicchiata nel proprio mutismo e nel proprio menefreghismo.

E’ facile, adesso, intentare processi, cercare un “colpevole” a tutti i costi, prendersela col mondo adolescenziale e giovanile “senza valori”. Non è stato altrettanto facile “pensarci prima” per evitare che accadesse l’irreparabile, non è stato altrettanto facile “pensarci prima” quando, troppo repentinamente, l’impegno educativo è diventato una “delega” e la famiglia, progressivamente, ha come abdicato al suo insostituibile ruolo, non è stato facile pensarci prima affinchè si intervenisse per evitare che il luogo scelto da Michael per “salutare” il mondo diventasse ciò che è: un luogo senza controllo, un luogo “pericoloso” non solo per l’incolumità fisica ma anche e soprattutto per quella “interiore”.

Tutti responsabili, nessuno responsabile; tutti sapevano (e sanno), tutti zitti, incapaci di denunciare, a rischio di essere “una voce che grida nel deserto”.

Michael ci ha fatto capire che, purtroppo, bisognerà “lavorare” tantissimo, a tutti i livelli, per riconsegnare alle giovani generazioni la sacralità della vita e della famiglia, ci ha insegnato che un unico gesto è la risposta a tanti “silenzi”, ci ha insegnato che si può urlare anche stando zitti, che si è più veracemente se stessi nel gesto estremo che nell’ipocrisia.

Il rischio, infatti, adesso, a mio modestissimo avviso, è che sulla vicenda si spengano i riflettori: non perché dovremmo continuare a “indagare” sul come e sul perché (questo lo lasciamo a chi di competenza), ma perché passata l’”onda” emotiva e, perché no, sbollita la rabbia, tutto tornerà come prima se non si sveglieranno le coscienze e non si riuscirà a tenerle deste.

E’ stato il momento del “sentirsi impotenti”; adesso è il momento di rimboccarsi le maniche e fare ciascuno (famiglia, scuola, parrocchia, associazioni di ogni genere, istituzioni, forze dell’ordine) la propria parte; è stato il momento del silenzio, adesso è il tempo di urlare, urlare a tutti che la vita va custodita, promossa, che i “paradisi artificiali” non la riempiono ma la distruggono, che i surrogati della felicità sono effimeri, che bisogna sempre tendere al bene, che siamo stati creati per essere felici. “Fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum donec requiescat in te” (“Ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finchè non riposa in te”) scrive Sant’Agostino ne “Le Confessioni”.

Sicuramente adesso Michael non sarà più inquieto perché è in quella pace che, forse, quaggiù non ha trovato e che non gli è stata donata. A noi resti la “sacra inquietudine” di lottare, ogni giorno, per contribuire alla crescita di persone con la spina dorsale e non automi in balia degli eventi.

Nicola Arrigo

 
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