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PATTI – La processione delle “varette”. La riflessione del vescovo monsignor Guglielmo Giombanco.

PATTI – La processione delle “varette”. La riflessione del vescovo monsignor Guglielmo Giombanco.
Marzo 30
07:30 2024

Sebbene in forma ridotta, per l’impossibilità di attraversare la via Sciacca Baratta e con la conseguente “esclusione” della parte storica della città, anche quest’anno il Venerdì Santo è stato caratterizzato a Patti dalla processione delle “varette”.

Un appuntamento fisso nel cuore dei pattesi, sebbene nel tempo sembra stia perdendo il suo fascino, come confermato dalla difficoltà di reperire portatori e la partecipazione non sempre silenziosa ed attenta dei fedeli.

Come sempre, ci sono state le “stazioni”, durante le quali meditare sui momenti della Via Crucis di Gesù, ispirate, quest’anno, a una serie di riflessioni e preghiere fatte da bambini e ragazzi delle scuole della Terra Santa che in questo momento, come tanti loro coetanei in tutto il Medio Oriente e in tanti altri Paesi del mondo, vivono in prima persona le sofferenze causate dalla guerra. Un unico denominatore, quindi: l’invocazione della pace per la Terra Santa, per il Medio Oriente e per il mondo intero che attualmente è afflitto da almeno sessanta conflitti armati.

Anche il vescovo monsignor Guglielmo Giombanco ha proposto, in Piazza Marconi,  la sua riflessione, che riportiamo integralmente.

Viviamo questo momento di mesta meditazione e di silenzio con il cuore colmo di dolore e avvertiamo come non mai il bisogno di contemplare il Cristo sofferente, con la certezza che il nostro sostare dinanzi a Gesù diventi seme di speranza per l’intera umanità. Dinanzi all’immagine del Cristo sofferente i nostri pensieri, i nostri sentimenti sono tornati a quel giorno terribile ed ignobile, quando il giusto venne messo a morte per nascondere la cattiveria che dominava il cuore dell’uomo. Una storia che si ripete ancora ai nostri giorni con guerre, violenze delitti, falsità, prepotenze: sono sempre i buoni, i più deboli, gli indifesi a pagare.

La strada del Calvario non è finita definitivamente con il sacrificio di Cristo, ma è giunta fino ad oggi, perché ancora sono tante le persone che la percorrono portando la propria croce come Gesù. Egli ci ha insegnato a percorrere questa strada con la forza dell’amore: è questa forza che suscita nell’animo il coraggio; è questa forza che genera nel cuore la speranza; è questa forza che accresce la fiducia nella vita. Quel Venerdì Sant vissuto da Cristo sostiene e conforta i tanti venerdì di dolore che si susseguono nel cammino della storia dove i crocifissi continuano ad esistere perché ancora vi sono tanti crocifissori. Vi sono tante «Vie Crucis» invisibili, ma reali che continuano seminare dolore e morte. Sono tante le persone, che vivono interminabili venerdì di dolore perché visitati dalla sofferenza: si trovano soli con Cristo sulla croce. Pensiamo ai nostri fratelli e sorelle dell’Ucraina, della Siria, della Palestina e di Gaza e della Nigeria e di tante altre parti del mondo che soffrono a causa di guerre e sono costrette a fuggire per intraprendere strade lastricate dal dolore, dalla sofferenza e dall’incertezza sul futuro. Pensiamo anche la solitudine di tante famiglie che vivono il dolore lontani dai lori cari e privati dagli affetti; famiglie sole e abbandonate nei vari disagi causati da malattia, da precarietà e dalla mancanza del necessario, violenza nelle famiglie: femminicidi, abusi psicologici, violenze tra ragazzi definiti oggi analfabeti emotivi e incapaci di esprimere sentimenti.

Le varie forme di violenza e di ingiustizia non sono forse la conseguenza di un vuoto dell’anima, di una solitudine diffusa? L’uomo di oggi è forse più emancipato e libero? Sembra piuttosto più succube, incapace di pensiero critico, omologato al pensare comune. È forse più felice? Sembra invece più triste, in preda alla incertezza del futuro, assediato dalla noia. Chi soffre non può dire ciò che prova e chi non soffre non può capire le parole di chi vive nel dolore. Sembra che la sofferenza innalzi come una barriera di incomunicabilità. Si comprende allora che solo nel silenzio si può in qualche modo superare questo muro così invalicabile e rispettare il mistero della sofferenza. Tuttavia proprio nel momento del massimo dolore, nel momento in cui l’uomo si confronta con la morte, può avvenire un miracolo: possono maturare alcune parole che hanno la grazia di racchiudere tutta una vita, hanno la grazia di rivelarla e di consegnarla come dono a chi sa ascoltarle e accoglierle nella preziosità del loro mistero. Le parole che maturano dalla sofferenza, dalla capacità di obbedire ed ascoltare il dolore, possono diventare parole piene di verità: spoglie di ogni orgoglio, sono parole che rivelano ciò che può nascondersi nel cuore di un uomo: l’abbandono e la fiducia, il desiderio e la mitezza, la compassione e il perdono. E così le parole di un morente sono preziose perché rivelano il senso di una vita: ciò in cui un uomo ha creduto, l’essenziale della sua esistenza, le fatiche nascoste, ciò che ha custodito come tesoro nel suo cuore, ciò che desidera donare come memoria a chi lo ha amato.

Dall’alto della croce lo sguardo di Cristo acquista proporzioni più ampie e ci attrae e ci invita a fermarci e a pensare, per scegliere l’amore. Guardando la croce ci chiediamo quale sia la nostra altezza! Forse il successo, il prestigio, la ricchezza, il plauso degli uomini, la notorietà, la soddisfazione delle aspettative mondane? Abbiamo abbastanza esperienza per risponderci. La dignità, a cui il Creatore ci chiama, non è nulla di tutto questo; essa è incisa sul legno secco della croce: la nostra altezza e l’altezza di Dio. Ad essa dobbiamo aspirare!

Tutti noi viviamo momenti di sofferenza, di smarrimento e svuotamento interiore, di povertà umana, di nonsenso della vita. Nello stesso tempo, però, avvertiamo che durante questi momenti non siamo soli, come non lo siamo questa sera: Cristo è con noi. Cristo con la sua morte in croce ci libera dalla fredda indifferenza e ci rende capaci di amare e di sperare, di stare dentro la storia. Sotto la croce ci riconosciamo destinatari dell’amore di Cristo che sgorga dal Suo costato aperto e raggiunge tutti noi.

Un tempo difficile il nostro che ci chiede di consolidare la vita di fede e la nostra maturità umana con gesti carichi di amore e ricchi di umanità. Contemplando il Crocifisso chiediamo a Gesù per la potenza del suo sangue versato, il dono della sensibilità del cuore affinché nel mondo non si spenga l’amore. Mentre percorriamo la «Via della Croce», lasciamoci prendere per mano da Maria e chiediamoLe una briciola della sua umiltà e della sua docilità, affinché l’amore di Cristo Crocifisso entri dentro di noi e ricostruisca il nostro cuore nella misura del Cuore di Dio.”

Nicola Arrigo

 
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