PATTI – Esami di maturità. Ragazzi in grado di ragionare con la propria testa, di sviluppare la capacità critica, senza lasciarsi omologare.

Mi è capitato, in questi caldi giorni di inizio estate, di assistere alla prova orale degli esami di maturità di alcuni studenti. La loro prima vera prova di esame, visto che si tratta di ragazzi che erano stati costretti a sostenere on line gli esami di terza media a causa del covid.
Questo, ovviamente, ha accresciuto l’ansia e l’incertezza, ha procurato tensione nei maturandi e, perché no, nei genitori (forse ancora di più), ha sviluppato la paura che l’emozione potesse prevalere, ma è stata anche l’occasione per dimostrare quanto i ragazzi valgano.
Già, maturità: parola tanto usata e abusata, ai nostri giorni, spesso come se fosse un traguardo irraggiungibile. Maturità, ovviamente, non solo culturale (è solo l’atto finale di un percorso durato cinque anni, durante il quale una commissione di docenti valuta i progressi fatti e le competenze, più che le nozioni acquisite), ma anche e soprattutto umana.
Oggi “sapere” è fondamentale, perché è la base per poter essere in grado di ragionare con la propria testa, di sviluppare la capacità critica, senza lasciarsi omologare e senza essere “copie”. Ma è altrettanto indispensabile, irrinunciabile, essere capaci di intessere relazioni, che vanno oltre poesie, opere d’arte, esperimenti, attività laboratoriali in genere, relazioni vere, autentiche, in cui l’altro sia un “tu” da accogliere e rispettare.
Devo confessare che mi ha sorpreso il modo con cui i ragazzi si sono preparati ad un “appuntamento” così importante. Certo – potrebbe obiettare qualcuno – era scontato che quantomeno studiassero adeguatamente in vista degli esami. Inappuntabile considerazione, ma il mio riferimento non è solo alla capacità di svolgere un tema o una versione o un compito di Matematica o Lingue, non è solo alla capacità di “parlare” di Ungaretti, Svevo, Montale, dna, guerre mondiali, Agenda 2030, elettronica e tanto altro, quanto proprio alla capacità di affrontare l’esame. Ho notato il desiderio di “mettersi in gioco”, di dimostrare cosa valgano, di “smontare” la concezione che gli adolescenti di oggi siano disinteressati a tutto, immersi nel loro mondo di isolamento, fortemente segnato dai social.
Ritengo sia questa la vera conquista, ben al di là del voto finale, che pure, come accade da sempre, gratifica o, in taluni casi, lascia delusi.
Ho colto nei ragazzi un segno di speranza per noi adulti, prima per il loro forte “senso del dovere”, poi perché non si sono limitati alla semplice “pappardella”, ma sono stati in grado di esprimere opinioni personali, evidenziando la capacità di “intelligere”, appunto di andare in profondità, di non rimanere in superficie.
Se riusciranno a rimanere tali (e ciò dipenderà anche dalla capacità di quanti incontreranno sul loro cammino di tirar fuori – educere – il meglio), allora questa nostra società, di cui ci lamentiamo sempre “perché non ci sono più i valori di una volta” (come se dipendesse sempre e solo dagli altri), potrà essere davvero migliore.
Nei ragazzi, insomma, ho visto un il “segno” tangibile di come sia lecito scommettere su di loro, ho visto un seme fecondo del futuro, un motivo per cui continuare a puntare in alto.
Ovviamente le famiglie devono continuare a svolgere la loro insostituibile funzione, nella certezza che i figli hanno tutte le potenzialità per spiccare il volo e per saper affrontare chiunque volesse tarpare loro le ali.
E’ una frase ormai trita e ritrita, ma che non passerà mai di moda: ad meliora semper !
Avendo ben a mente che, come diceva Sant’Agostino, “Felicitas est velle quod habes”, la felicità è desiderare quello che si ha.
Nicola Arrigo
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