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NON VERRANNO, NON ASPETTATEVI DONI (di Diego Sergio Anzà)

NON VERRANNO, NON ASPETTATEVI DONI (di Diego Sergio Anzà)
Novembre 02
16:34 2016

Io non conosco i morti dei vivi. Io non ho morti nei cimiteri, non ho morti nei luoghi di un tiranno francese. I tiranni non conoscono la morte, i tiranni adorano la vita ed i suoi inganni e la danza della sua ferocia. I cimiteri sono l’alibi dei vivi. Non c’è un posto per i vivi ed un posto per i morti. Tutto si compie in una stessa freccia, in uno stesso spazio. Questo solco è una menzogna eterna. L’inizio di tutte le menzogne.

Quando si nasce, si comincia a morire. Col primo vagito, col primo pianto.
L’albero cresce fino alle foglie gialle ed ancora, ancora, fino all’ultima goccia di linfa. Ma l’albero non divide mai i suoi rami, le sue foglie e la sua linfa. La Natura solo agli uomini tende questa trappola infingarda.

Non ho morti nei cimiteri, non li aspetto una volta all’anno, non ho merce fiorita da offrire, non mi aspetto i loro doni. Non possono comparire, vivono nella mia carne da quando l’universo inseminato si è accorto di me. Questo mistero della morte è… teosofia. Non c’è alcun mistero della morte e non ci può essere quindi alcun timore. È l’alfabeto che arriva all’ultima vocale, con la semplicità degli iniziati, senza il miscuglio cruciale ed ingannevole dei neuroni. Acqua pura ed acqua torbida. Nessun timore, nessuna ricorrenza. È tutto scritto con le parole più chiare. Nessuna paura, nessuna memoria codificata. I miei morti vivono dentro la mia vita.

Quella che temo davvero è la morte di chi respira e non parla, non ama, non vede, non ascolta, cancellando i frammenti della sua esistenza. Temo immensamente l’ignavia, la brutalità di stagioni che cosificano e massificano la morte, piegandola all’assurdità della vita.
La cosa terribilmente misteriosa non è la morte, ma le vite che la gente vive o non vive fino alla morte. Non fanno onore alla propria vita. La buttano fuori, nelle fogne del mondo. Troppo intenti a sguazzare nel brodo degli sciamani e ad irridere alla nave di Ulisse.

Abbiamo la testa ovattata. Siamo brutti, parliamo male, camminiamo male. Si diffonde la grande musica dei secoli ma non sentiamo. Per molti la morte è una bara, un cimitero. C’è rimasto ben poco che possa vivere e morire.
Così questa notte, ogni anno, aspettiamo che i morti vengano a salvarci o, almeno, a consolarci. Offriamo inflorescenze decapitate e luci fredde. E ci aspettiamo pure che ci portino doni.
Illusioni della vita stupida, disonorata e frantumata.

Tutti i giorni dell’anno i morti cercano di portare doni, ma non sono per noi e per i nostri pargoli ridenti. Preparano grandi ceste e vanno verso il mare dei disperati, nelle case di Aleppo e di Mosul, senza scordarsi dei fantasmi di Dachau. Quasi sempre è un viaggio inutile, perché la vita ha già umiliato la morte. È stata più forte della morte. L’ha tradita, l’ha brutalizzata. Senza vergogna e senza pietà.

 

Diego Sergio Anzà

Se adeguarsi vuol dire rubare, io non mi adeguo.

Se adeguarsi vuol dire rubare, io non mi adeguo.